I ragazzi che si perdono.

10 Mar
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La dispersione scolastica è in Italia altissima. Ma chi sono i ragazzi che la Scuola perde per strada?

 

Entra in classe trascinando i piedi, un po’ sbracato, un po’ altezzoso, lo sguardo sfuggente che aspetta di posarsi sul compagno che gli farà per primo una battuta. Lo zaino è pesante, inutilmente. Sbuffa. Disturba. Ridacchia. Perché è venuto in classe a rompere anche oggi? È così difficile lavorare con lui che rovina il clima. È un menefreghista. Voti scadenti, non studia, sarebbe intelligente, ma non gli importa e si trascina in questa quotidianità scolastica come un monaco in clausura che ha perso la vocazione. Vorrebbe di certo star fuori, ma gli amici son tutti a scuola. Questo è il luogo dove incontrarli. Dal suo punto di vista è l’insegnante l’incomodo che disturba il suo obiettivo: l’aggregazione, l’appartenenza.

Il menefreghista fa seconda media o forse terza, a volte solo quarta o quinta elementare, ma ha già scelto “l’abito che indossa” e lo porta bene allo stesso modo di tutti i suoi simili, in qualunque parte del mondo.

È il look di chi si sta “disperdendo” ovvero sta “rinunciando” a vivere da protagonista quella lunga esperienza che è il percorso scolastico. Lo si riconosce subito. È un look fatto di postura, di andatura, di non-sguardo, di rinuncia, spesso di provocazione.

Noi insegnanti lo vediamo e poi?

…e poi.

Bella domanda.

La prima cosa che suscita in noi, spesso a ragione, è una forte antipatia: abbiamo preparato le lezioni, ci siamo impegnati a studiare e cercare il modo di trasmettere il nostro sapere, vorremmo farlo al meglio, ma lui… quel suo disinteresse ci sfida, ci irrita, ci mette k.o. così tanto da intrappolarci nella lamentazione (è vero o no che lo raccontiamo a tutti?) e renderci incapaci di provare a leggere la sua provocazione come un ultimo impercettibile appello.

Lui in realtà ha già scelto che “la scuola non fa per lui”. Ce lo dimostra chiaramente. Chi glielo ha messo in testa non è una persona sola, ma forse tutti noi ne siamo in parte responsabili. Noi come insegnanti, rappresentanti di questa nostra scuola ingessata, con le sue lezioni quasi sempre unidirezionali, con l’affanno per le verifiche e le prove invalsi e l’ansia per i livelli di apprendimento. Abbiamo dimenticato che “il benessere dei ragazzi e il piacere di imparare sono i due prerequisiti per apprendere e diventare artefici di un mondo migliore.” (adiscuola.it)

Ma diciamoci la verità: di fronte alla provocazione del menefreghista che ridicolizza la scuola e le nostre lezioni col suo atteggiamento, noi insegnanti riveliamo tutta la nostra debolezza. Ecco il punto. Siamo noi gli adulti, eppure reagiamo alla sua sfida mettendolo allo stesso nostro piano.

Non ci passa neppure per la mente che è solo un ragazzino, che potremmo fargli cambiare idea. Anzi, che dovremmo assolutamente fargliela cambiare!

Lo so che è difficilissimo. È una lotta all’ultimo sangue. Lui indifferente e noi che non lo molliamo, che non smettiamo di provare a ripescare nel suo giovane temperamento di sfida un debolissimo appiglio, un aggancio a cui ancorarci per fargli cambiare idea sulla scuola, sull’apprendimento, sulla possibilità di imparare.

Mi viene in mente l’ultimo libro di Giacomo Stella “Tutta un’altra scuola” che suggerisce sette regole per cercare di fare della scuola un luogo attraente. Questo professore dell’Università di Modena ha dedicato tanta parte dei suoi studi ai disturbi di apprendimento, ed è attraverso gli occhi dei più deboli che ha imparato a guardare la scuola, proprio con gli occhi di chi a scuola non sta bene perché non riesce a dare il meglio di sé e non riesce ad esprimere tutte le proprie potenzialità. “A partire da queste analisi ed estendendole all’insieme dell’organizzazione scolastica, ai suoi secolari riti, alle sue ataviche rigidità, Stella considera la scuola di oggi un contenitore di crescente disagio: disagio di allievi, disagio di insegnanti e disagio di genitori”.

Dobbiamo fermarci, cari insegnanti. Dobbiamo pensare. Non possiamo continuare a salire sulla giostra scolastica quotidiana senza una pausa riflessiva. Dove stiamo andando con questa proposta scolastica­­­? Cosa stiamo proponendo ai ragazzi che saranno gli adulti di domani? Perché non riusciamo a far innamorare della conoscenza questi allievi, vivacissimi in prima elementare e assolutamente spenti già in seconda superiore? Dove perdiamo l’entusiasmo, la voglia, la passione, il senso dell’imparare?

Nelle scuole d’avanguardia a livello mondiale, dove si registrano i migliori successi scolastici e la minore dispersione di studenti, lavorano team di docenti che “pensano insieme”.

Non è difficile. È necessario! Dobbiamo iniziare a farlo come lo fanno tutti i veri professionisti. Trovare la voglia e il tempo di incontrarci per parlarci dei modi che usiamo nell’insegnamento, per inventare e sperimentare strategie nuove, interessanti, attraenti per rendere il percorso scolastico così piacevole che nessun ragazzo voglia perderselo.

“Portare il sorriso nelle aule, praticare la risata per rompere schemi negativi e creare un clima positivo per il nostro corpo e il nostro comportamento” sarà mai possibile nella scuola italiana?

Margret Rasfeld che dirige la Schule Berlin Zentrum di Berlino, una scuola all’avanguardia, salita agli onori della cronaca anche in Italia per i successi scolastici di tutti i suoi allievi ritiene che “la cosa più importante che una scuola possa trasmettere ai propri studenti sia quella di automotivarsi, sviluppando fiducia in sé, senso di responsabilità e desiderio di affrontare le sfide in autonomia”.

Ma nelle nostre scuole come si apprende? Si sviluppa la fiducia in sé e negli altri? Si impara che l’errore è necessario per imparare? Si insegna ai ragazzi a trovare in sé la forza e la motivazione per superare le difficoltà?

Sappiamo aiutare i ragazzi a riconoscere in sé stessi la positività, la bellezza e la forza?

Sappiamo scoprire e far sbocciare le qualità di un ragazzo nascosto dietro una maschera da menefreghista?

C’è qualche adulto-insegnante che riesce a strappargliela dalla faccia quella maschera, restituendogli un’altra immagine di sé? C’è qualcuno che riesce a guardarlo negli occhi mentre è ancora in crescita, per dirgli che la scuola non lo vuole perdere, anzi, lo vuole a tutti i costi accompagnare nella scoperta del mondo, fino a vederlo sbocciare alla porta dell’adultità, felice di non averlo smarrito in qualche strada buia, pericolosa e marginale della società?

di Grazia Liprandi – Rete Insegnareducando

PER APPROFONDIRE

 

Secondo uno studio, pubblicato sul sito dell’INDIRE il 25 marzo 2016, l’Eurydice, la rete europea che raccoglie, aggiorna, analizza e diffonde informazioni sulle politiche, la struttura e l’organizzazione dei sistemi educativi europei, avrebbe registrato che In Italia i “dispersi” rappresentano il 16% della popolazione scolastica.

Un dato molto alto e ancora lontano dai parametri della soglia minima che si aggira al di sotto del 10%.

L’abbandono scolastico precoce è un fenomeno che preoccupa tutti gli Stati europei e che è al centro delle politiche educative europee e nazionali. Si tratta infatti di un aspetto cruciale, dal quale si può valutare lo stato di salute di un sistema educativo

La percentuale dei giovani tra i 18 e i 24 anni che abbandonano precocemente la scuola, non conseguendo diplomi di secondo grado né attestati di formazione professionale, è scesa dal 19,2% nel 2009 al 15% nel 2014. Con questo dato, l’Italia raggiunge il suo obiettivo nazionale fissato al 16%, pur rimanendo ancora distante dall’obiettivo europeo del 10% entro il 2020.

È interessante però vedere che tra i dispersi iItalia, il 34,4% degli studenti che non consegue diplomi di secondaria superiore o di formazione professionale è nato all’estero, mentre tra gli studenti nativi la percentuale scende al 14,8%; dati entrambi superiori alla media europea, che è rispettivamente del 22,7% e 11%.

Altro dato particolare che ci riguarda è questo: L’Italia risulta anche tra i Paesi con le più forti disparità tra tassi di abbandono maschili e femminili, con una percentuale del 20,2% per i maschi e del 13,7% per le femmine, un dato negativo rispetto alla media europea (13,6% maschi, 10,2% femmine)

 

http://www.indire.it/2016/03/25/dispersione-scolastica-in-italia-abbandono-precoce-scende-al-15/

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